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I RACCONTI DELLA BIENNALE

                          Una Fatima come tante


                            di Anna Picone - Volontaria della Liguria


              ensi che a te non succederà mai, che non ti può succedere, che sei
              l’unica persona al mondo a cui queste cose non succederanno mai
         Pe poi, a una a una, cominciano a succedere tutte, come succedo-
          no a tutti.

             Ho lasciato il Marocco senza troppi rimpianti, del resto non ne avevo
          motivo: mio marito aveva un ottimo lavoro in un porto italiano e chiedeva
          di raggiungerlo, aveva affittato una bella casa, la mia mamma mi accom-
          pagnava e mi aiutava con i due gemellini, i miei bambini di quattro anni.
             In Italia all’arrivo mi sono trovata benissimo: nessuno trovava da ridire
          su come eravamo vestite la mamma ed io, mio marito aveva uno stipen-
          dio buono, potevamo permetterci tante cose.

             Una volta, in un giorno festivo, siamo andati tutti e cinque a Pisa e
          un’altra volta a Firenze, spesso nei giorni liberi ci portava con l’auto in po-
          sti di campagna.
             Non erano passati neppure sei mesi dal mio arrivo che si incominciò
          a parlare di crisi economica e mio marito non faceva straordinari, guada-
          gnava un po’ meno, ma non avevamo motivo di lamentarci.
             Una sera mi accorsi che qualcosa non andava nei miei bambini: era-
          no tanto noiosi, piangevano per sciocchezze, non giocavano con nessu-
          na delle cose che avevamo comprato per loro.

             Avevano qualche linea di febbre, nulla di grave, almeno credevamo.
          Saranno passati dieci o dodici giorni con i bambini sempre con questa
          febbriciattola e con poco appetito, così li ho portati dal medico, una si-
          gnora gentile che si è preoccupata e ha richiesto delle analisi. Poi, pro-
          prio mentre scriveva ha guardato la mia mamma e ha chiesto di visitarla.
          È sembrata molto ansiosa di vedere le analisi anche della mamma.
             Ero giovane, tanto giovane e la mamma era il mio aiuto e il mio soste-
          gno, la mia guida in tutto, anche se avevo un marito, quindi sono rimasta
          molto male guardando il viso del medico, ma pensavo a qualcosa di pas-
          seggero. Sono passate solo quarantotto ore e il mio mondo ha comin-



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