Page 64 - Aprile
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ciato a crollare: la mia mamma e i miei due bambini erano in ospedale, la
diagnosi era terribile, tubercolosi. Subito i medici chiesero anche a me e
a mio marito di fare i controlli.
Prima di presentarmi in ospedale sono andata a chiedere aiuto e con-
siglio alle donne marocchine che conoscevo, volevo che se fosse stato
necessario pensassero alla casa e ci aiutassero un po’, ero tanto in pen-
siero per i bambini e la mamma, avrei dovuto prendere l’autobus per an-
dare in ospedale tre volte al giorno. Pensavo che forse avrei avuto bi-
sogno di cure ma non trovai quello che cercavo. Quasi nessuna delle
signore aveva studiato nel nostro paese e alcune neppure sapevano leg-
gere, avevano paura della malattia e non mi ascoltavano, facevano i loro
lavori e pensavano alla loro famiglia, erano amiche fra loro ma non con
me. Quel giorno per la prima volta mi sentii straniera, ero straniera per-
ché non italiana ed ero straniera perché non mi sentivo vicina alle don-
ne del mio paese.
Piangevo, avevo paura: una di loro mi diede un consiglio, in segre-
to, da parte, mi disse che se avessi avuto bisogno potevo andare da un
gruppo di donne cristiane che mi avrebbero aiutata, mi avrebbero dato
un pacco di roba da mangiare, dei vestiti per i bambini, avrebbero parla-
to con i medici.
Mi sono arrabbiata, anche se per carattere non sono portata all’ira:
non avevo bisogno del cibo di quelle donne, non avevo bisogno della ca-
rità di nessuno, sapevo parlare da sola con i medici, che cosa aveva ca-
pito quella?
In pochi giorni tutto è diventato un incubo: solo mio marito non era
ammalato, noi che eravamo arrivati dopo avevamo la tubercolosi, biso-
gnava rimanere ricoverati, occorreva fare le cure.
Rami, uno dei gemelli, è morto, ma non ho fatto in tempo a piangerlo
perché dopo due giorni è morta la mia mamma e tutte le mie lacrime era-
no per lei: ero sola, in un paese straniero, malata, con un bambino mala-
to. Mio marito mi consolava, ma era sempre più preoccupato per Ibrahim
e per me, per il lavoro, per tutto.
Quando sono uscita dall’ospedale, ho capito che non aveva più il suo
posto in porto, non era riuscito a pagare l’affitto, dovevamo andarcene
dalla casa vicino al mare e andare in una più piccola, brutta, senza luce.
Ero disperata, avevo paura di perdere anche Rami e così mi sono fatta
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