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mo motivata nel fare le cose. C’era allora, perché erano molte, un nume-
ro fisso di volontarie oltre il quale non andare: 20. Cosa voleva dire? Che
fosse un gruppo che potesse camminare meglio insieme. Un gruppo ne
troppo piccolo ne troppo grande, un gruppo, per così dire, ritenuto di ga-
ranzia. A tutte le consorelle, nessuna esclusa, che svolgessero compi-
ti o che fossero semplicemente membri era richiesto di agire: come una
buona madre. Quindi uno spirito materno nel servire i fratelli più poveri.
Questo significa che erano necessarie parole, gesti, sentimenti materni
preoccupandosi del bene spirituale e del bene corporale. Dirà in più oc-
casioni San Vincenzo: “perché non hanno nessuno che abbia cura di
loro all’infuori di voi”. Servizio da svolgere in spirito di comunione con
riunioni periodiche ben curate e ben fatte.
Riunioni in cui si trattassero i problemi e con sincerità le difficoltà e i
mezzi per affrontarle. Lavoro fraterno che doveva essere appunto di una
fraternità sentita e radicata. Si comandava di tenere un quaderno reso-
conto dove veniva messo a punto quanto discusso e deciso. Avere un li-
bro in cui si scriveranno le risoluzioni prese. Nella riunione successiva si
legge questo, perché tutti possiamo dimenticare. E quindi è bene che
qualcuno ci ricordi cosa ci siamo detti. Tutto questo è nella convinzio-
ne che sapete bene tutti e tutte: “non basta fare il bene bisogna far-
lo bene come lo ha fatto Nostro Signore”. Di cosa stava parlando San
Vincenzo quel giorno in cui ha detto questa frase? Di semplicità e di
prudenza. La semplicità che dice trasparenza e rettitudine e la pru-
denza che vi fa decidere le cose con la testa e con il cuore. Fare il bene
come nostro Signore. Quelle che abbiamo elencate potremmo dire che
sono qualità professionali con l’impegno a maturarle con una buona vita
di preghiera, di meditazione, di Eucaristia, con la cura di fare le cose nel-
le tre virtù che sappiamo.
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