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NELLA CHIESA orse non corrisponde all’im-
maginario abituale che un
Gaudete et Exsultate FPapa inviti tutti gli uomini e le
donne ad essere felici, a metter-
si nelle condizioni di poter gioire.
a cura di Don Francesco Vannini
Preside dell’Istituto Teologico Interdiocesano “Mons. Forse per alcuni non è la priorità,
Enrico Bartoletti” (Lu), docente presso l’Istituto di di fronte alle complesse proble-
Scienze Religiose (ISSR) Niccolo V (SP), parroco di matiche mondiali. Papa France-
Nostra Signora della Salute (SP).
sco il 19 marzo 2018 ci ha voluto
offrire invece una “esortazione apostoli-
ca” cioè un documento papale di indirizzo, che parte con questo coman-
do, con questo deciso invito ad essere felici.
Non si tratta però certo di un invito ingenuo, di uno che non sa come
va il mondo. Sono tantissime le situazioni che potrebbero impensierire ed
intristire, preoccupare e mettere in ansia.
Il Papa, continuando nel clima di sorpresa rispetto al modo di pensa-
re ordinario, ci indica come sia possibile “gioire ed esultare”: riconoscen-
do e accogliendo la chiamata alla santità che il Signore ci riserva.
Il nostro martirologio ci offre tutta una infinità di serie di vite di santi
evocate, che probabilmente a fatica diremmo “felici”, eppure proprio nei
santi siamo invitati a riconoscere il compimento del nostro percorso. Ci
spiega così che non dobbiamo adeguarci troppo facilmente alle logiche
di consumo, pensando che felice è chi può fare ciò di cui ha desiderio,
chi non ha limiti di risorse, chi si stanca nel divertirsi. Con un atto di fidu-
cia doveroso nella parola del Vangelo, ci spiega che è Gesù il più quota-
to per indicare una strada efficace per la felicità, e riconosce come que-
sta strada possa essere individuata nel testo delle beatitudini, spiegato
con cura. “Beato”, cioè realmente felice è chi sa porsi nello stesso atteg-
giamento di Gesù rispetto alla vita e agli altri.
Gli Atti degli Apostoli ci dicono che, fin dai primi tempi, dovendo sce-
gliere un nome per indicare il gruppo della comunità nascente, si è pensa-
to di chiamarli “cristiani”. Il riferimento alla persona di Gesù era evidente-
mente chiaro e qualificante. Nel rischio di impantanarci in una dimensione
istituzionale abituale, veniamo perciò richiamati a riconoscere ciò che è
essenziale per qualificarci realmente, provare a vedere se anche di noi si
può dire che abbiamo Cristo come riferimento dell’operare.
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