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Chiarifica il Papa che non immagina un popolo di persone che finisco-
no tutte sugli altari, ma ha in mente quella santità anonima e quotidiana,
di cui tutti noi abbiamo fatto esperienza nei nostri incontri, e che deve es-
sere sempre più diffusa ed assunta come stile di vita, affrontando la sfida
del mettere in gioco le nostre azioni concrete.
In questo modo ai cristiani si apre l’opportunità di essere anche sem-
pre più umani, perché proprio in Gesù, come ha messo in evidenza il
Concilio, possiamo individuare la realizzazione più completa della stessa
umanità. Troppe volte, nelle nostre conversazioni, capita di sentire qual-
cuno che si giustifica dichiarando: “Non sono mica Gesù ! … Ma lui era
Dio, io non posso mica perdonare… amare… così!”. La provocazione del
Nuovo Testamento è invece costante nel chiamarci a fare nostri gli atteg-
giamenti, i sentimenti, le azioni di Cristo e il Papa ce lo richiama con forza.
Nel nostro tempo, ci spiega l’esortazione, ci troviamo tentati da una
parte dallo gnosticismo, che ci fa pensare che ciò che conta è solo il no-
stro mondo interiore, distaccato dalle nostre azioni, o dal pelagianesimo,
che ci fa pensare che l’importante è solo ciò che noi facciamo.
Sballottati da rapide affermazioni con queste matrici, rischiamo di
perdere il senso di meraviglia e gratitudine di fronte al dono di Dio, e la
consapevolezza della necessità di una risposta che coinvolga interamen-
te il nostro essere, rispetto alla grazia che ci è offerta in Gesù.
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